In attesa del convegno in omaggio a Nicola Cuomo previsto per venerdì 18 giugno ri-pubblichiamo nel blog il primo articolo uscito sulla rivista “Emozione di Conoscere”
Introduzione alla rivista – Le emozioni, la ricerca, la pedagogia speciale
di Nicola Cuomo
L’avventura, l’imprevisto, i sogni, i miti, le utopie propongono il fascino, il desiderio di conoscere e chissà l’uomo …, l’uomo – con la sua prerogativa di superare la realtà, di fare scelte soggettive, arbitrarie, proiezioni che vanno al di là di ragioni, in dimensioni che oltrepassano l’esperienza – scopre possibilità di conoscenza e di sapere che con la razionalità, l’oggettività, nella prigione dei paradigmi delle scienze definite come “esatte”, non avrebbe mai scoperto. Sognare di volare, di parlare ed ascoltare, vedere gli altri a grande distanza attraverso le proiezioni dell’immaginario non possono che essere i presupposti dello sviluppo scientifico. L’IMMAGINAZIONE PROPONE DEGLI UNIVERSI OLTRE-PASSANTI LA VITA QUOTIDIANA, punti di vista non necessariamente consequenziali, fornendo alternative, altre modalità di vedere, sentire, toccare…, percepire, immaginare….. Così introducevo l’ultimo Congresso sull’Emozione di Conoscere e il Desiderio di Esistere e con queste parole ho il piacere di presentare questa rivista che, nell’ambito dell’Insegnamento di Pedagogia Speciale di mia responsabilità, presso il Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna, si auspica di divulgare.

Il Logo della rivista, come avete notato, è il viso di Pinocchio che guarda meravigliato una farfalla che si posa sulla punta del suo naso. La faccia meravigliata di Pinocchio e la farfalla che si posa sul naso vogliono rappresentare lo stupore, la meraviglia. La farfalla vuol sottolineare quelle modalità emozionanti di apprendere non in modo monotono e rettilineo paragonabili allo sparo di un fucile ma un apprendere nel contesto con volteggi come il volo di una farfalla. La scelta del logo di Pinocchio ha una motivazione che si lega al burattino Pinocchio futuro bambino. Penso che Pinocchio possa rappresentare la diversità e le risorse in essa contenute, possa essere un ambito metaforico adeguato che si adatta allo stile di analisi che vede nei contesti, nella quotidianità e nei progetti educativi grandi potenzialità per sviluppare ed apprendere in presenza di patologia e/o quando gli eventi ambientali fungono da ostacolo. La curiosità del burattino, il suo spirito di iniziativa, il suo amore per l’avventura, sono i presupposti metaforici per un bambino non passivo ma attivo, capace e desideroso di conoscere, di scoprire.
Collochiamoci nella storia
Le esperienze di integrazione nella scuola di tutti da parte dei bambini, dei ragazzi, dei giovani che in Italia prima degli anni settanta venivano segregati in scuole speciali (in relazione della definizione “handicappati” e a causa della legge che prevedeva percorsi separati) hanno prodotto trasformazioni profonde nella Pedagogia Speciale, che ha la responsabilità accademica e scientifica di provvedere a fornire risposte circa i bisogni educativi delle persone in situazione di handicap.
La peculiarità della Pedagogia Speciale rispetto alla Pedagogia Generale è da ritrovare nella sua specificità di intervento in quegli ambiti in cui lo sviluppo della persona, per motivi legati a patologie e/o per motivi ambientali, è reso difficile.
Nei prossimi numeri intendo offrire al lettore alcune riflessione su quali possono essere state le tendenze e le prassi della Pedagogia Speciale che mi hanno convinto, motivando così alcuni principi di base che fungono da presupposto nelle scelte teoriche e metodologiche e nelle esperienze che saranno divulgate con questa rivista.
Alcuni pregiudizi
Le difficoltà nello sviluppo, quando sono prevalentemente e meramente motivo di osservazione, di descrizione, di diagnosi, tendono solamente a produrre riflessioni sui deficit, sulle disabilità, sugli handicap prescindendo dall’originalità della persona, dai suoi vissuti, dalla sua storia, dai contesti, alla ricerca di raggruppamenti categoriali in cui collocarla. Tali raggruppamenti categoriali, quando vengono assunti a stato naturale, possono essere fatti divenire i paradigmi su cui procedere all’artificiale costruzione di classificazioni della persona in “cataloghi” nei quali forzatamente viene ordinata, sistemata in relazione alla sua patologia.
In tale catalogazione si ritrovano orientamenti di quella Pedagogia Speciale che basava, ed ancor oggi spesso basa il suo intervento solo e soltanto nelle strutture separate, appunto denominate “Istituti Speciali”; orientamenti della Pedagogia Speciale che ritrovava e che purtroppo ancor oggi frequentemente ritrova affinità con quelle scelte medico-riabilitative che vedono il loro intervento rivolto a curare la patologia, il deficit, non avendo presente la persona, la sua originalità, i suoi vissuti, la sua storia, i contesti socio-ambientali. Un paradigma che negando la persona, il suo vissuto, le sue originalità, i suoi potenziali, organizza lo “sguardo scientifico”, le ipotesi, le basi epistemologiche verso chiavi interpretative finalizzate ad intervenire all’interno dell’artificiale categoria in cui la persona – o meglio la sua riduzione a “patologia” – viene racchiusa.
Quale Pedagogia Speciale?
Gli orientamenti cui si farà riferimento in questo e nei prossimi numeri fanno appello a quelle risorse che offrono i saperi e le esperienze sufficientemente meditate per prospettive educative, che hanno l’obiettivo di promuovere e valorizzare la persona qualunque sia il suo stato sociale e di salute prendendo le distanze, rifiutando quella Pedagogia Speciale che si sorregge su pregiudizi o che tratta genericamente di problematiche inerenti le diversità, l’interculturalità, il disagio.
L’impegno e le responsabilità di ricerca e di intervento per l’integrazione di persone affette da deficit, di persone con disabilità mentali e/o fisiche necessitano di saperi e conoscenze estremamente specifici, in quanto le patologie esistono e le persone affette da queste presentano bisogni speciali, necessitano di professionisti con determinate competenze, di alta qualità di intervento.
La rigorosa ricerca sul campo per realizzare i progetti di integrazione ha fatto emergere che gli strumenti di indagine, i saperi e le conoscenze, il linguaggio della Pedagogia Generale erano insufficienti, anche se essenziali, per affrontare le problematiche specifiche e complesse che le persone affette da disabilità mentali, da trisomia 21, microcefalia, autismo, da sindrome di Rubinstein, sindrome di Turner, X fragile… presentano e fanno emergere
La ricerca, le riflessioni teoretiche e metodologiche, in questo ambito della Pedagogia estremamente specialistico, valutate e verificate sistematicamente nella prassi, i confronti multidisciplinari indispensabili con le aree medico-riabilitative e psicologiche, hanno fatto rilevare la necessità di interventi educativi e didattici con riferimenti teoretici, metodologici, di strumenti di osservazione, di valutazione, saperi e conoscenze, di linguaggi specifici e caratterizzanti
Pur fondandosi su saperi, conoscenze ed esperienze della Pedagogia Generale, la nuova dimensione educativa che l’integrazione propone e richiede, certamente trova senso nella definizione ‘Pedagogia Speciale’, un ambito specifico non finalizzato a segregare, a discriminare, a dividere le persone affette da disabilità, con deficit in arbitrarie categorie ma a ricercare specialistici strumenti, strategie, saperi, conoscenze per superare gli handicap che le disabilità propongono
Una Pedagogia Speciale per professionisti nel campo dell’educazione finalizzata ad integrare nella scuola di tutti persone affette da patologie e a superare le disabilità da queste provocate, con cognizioni peculiari di alta qualità tali da avere riferimenti concettuali, strumenti culturali e scientifici, competenze, esperienze tali da metterli in grado di confrontarsi rigorosamente con altri professionisti e aree scientifiche.
Gli anni di ricerca e di intervento nell’ambito dell’integrazione hanno prospettato una Pedagogia Speciale con ideologia, modalità di intervento e finalità profondamente differenti da quella che ho incontrato nelle istituzioni separate e segreganti ed in questa differente Pedagogia Speciale ho ritrovato i presupposti per superare le artificiali catalogazioni della persona in paradigmi basati su pregiudizi, i quali hanno la forza di inventare mondi ed appartenenze che possono racchiudere – in una natura ridotta a “Grande Enciclopedia” – le categorie, i mondi dei ciechi, degli spastici, dei sordi, dei disabili, … i denominati “soggetti” e non persone che a loro volta facevano e spesso fanno ancora parte dell’insieme degli handicappati, dei pazzi, …
La nuova Pedagogia Speciale sotto la prepotente e rigorosa spinta dei progetti di integrazione ha dato e sta dando una forte spallata a quelle razionalistiche e pregiudizievoli arbitrarie costruzioni tassonomiche, sempre alla ricerca di specie e sottospecie umane chiare e precise, per riempire di figurine l’album della collezione.
Distinguiamo
Quando si parla di Pedagogia Speciale risulta fondamentale esprimere alcuni elementi di base che portano a distinguere la Pedagogia Speciale sia dalla Pedagogia Generale, sia da quella Pedagogia Speciale che non vede la persona, non vede ‘Paolo’ ma solo la sua patologia, il suo deficit.
Altro rischio che va tenuto sotto controllo si può ritrovare nel riduzionistico ricondurre la specificità della Pedagogia Speciale al fatto che aveva un senso quando vi erano le istituzioni separate, le scuole speciali e che ora, in Italia in particolar modo, non essendoci più tali strutture le conoscenze che caratterizzano la Pedagogia Speciale, il suo ambito specifico non abbia ragione d’essere e che quindi la Pedagogia Generale sia sufficiente a rispondere ai bisogni ed alle problematiche delle persone affette da disabilità. Questo grossolano errore in cui si può cadere va a denunciare la profonda ignoranza e superficialità di chi non conosce le problematiche delle persone affette da patologie; di chi non possiede i saperi e le conoscenze per formulare delle ipotesi di intervento sufficientemente meditate e adeguate ai bisogni peculiari; di chi non ha avuto un percorso sperimentale e scientifico circa le strategie estremamente specifiche necessarie per determinare gli itinerari e i processi di integrazione e di inclusione.
Tale riduzionistico modo di vedere rischia di negare i problemi delle persone affette da trisomia 21, da cecità, da autismo, da microcefalia, da sindrome di Rubinstein, da dislessia, da disabilità, … pensando che il semplice inserimento nella classe, nel sociale possa produrre automatismi che in modo naturale vadano a risolvere le complesse problematiche specifiche causate dalla patologia.
In tale dimensione il negare l’indispensabilità di saperi, di conoscenze, di itinerari formativi, di strategie, di modalità didattiche peculiari, a favore di automatismi naturali, mi sembra induca nello stesso errore che hanno prodotto i pregiudizi dell’esclusione, delle strutture separate
La Pedagogia Speciale ha dovuto sviluppare e realizzare percorsi di ricerca caratterizzati, che andassero ad approfondire lo sviluppo della persona anche quando questo è ostacolato da situazioni ambientali e/o da patologie che possono produrre deficit i quali, a lungo andare, propongono o possono proporre svantaggi.
Per tali finalità questa Pedagogia Speciale ha dovuto ricercare, produrre ed accumulare competenze, saperi e conoscenze specifiche ed ha dovuto formare professionalità capaci di tener conto dello sviluppo della persona, anche quando questo è difficile a causa di forti incidenze ambientali e/o patologiche.
L’occasione ‘integrazione’, insieme alla ricerca di costrutti teoretico-metodologici per orientare gli interventi della Pedagogia Speciale, ha costretto quei ricercatori rigorosi ed impegnati nelle prassi di integrazione a confrontarsi con altri esperti, professionisti, altre competenze, conoscenze, per ipotizzare, sperimentare, realizzare progetti, percorsi finalizzati al superamento degli handicap, dei deficit, per cercare di ridurre gli svantaggi attraverso mediatori, mediazioni strumentali, metodologiche, didattico-educative, terapeutiche ed affettive.
Ricapitolando
Per il professionista che interviene nell’ambito della Pedagogia Speciale risulta fondamentale saper interagire con altre aree scientifiche avendo una specificità, una chiarezza di intervento tale da superare i rischi di essere assimilato e/o di divenire appendice aggiuntiva nelle scienze dell’educazione e/o divenire esecutore di ipotesi prodotte da aree scientifiche fuori dell’ambito pedagogico.
La chiarezza di specifiche responsabilità nella ricerca è stato ed è tuttora un permanente ambito di rigorosa meditazione scientifica per quella Pedagogia Speciale che vuol dimostrare la sua fondamentale importanza e peculiarità sia nel rapporto con le altre scienze dell’educazione, sia e specialmente con quelle aree scientifiche e quei professionisti altamente specializzati che si incontrano lavorando con persone che presentano deficit: l’area medico-riabilitativa e quella psicologica.
Ciò ha costretto la Pedagogia Speciale da una parte a ricercare salde basi nella Pedagogia Generale e dall’altra a ricercare caratterizzazioni sia per rispondere ai bisogni educativi estremamente originali delle persone in situazione di handicap, sia per interagire con le aree scientifiche presenti nei progetti di integrazione.
Altro problema che la Pedagogia Speciale ha dovuto affrontare per poter determinare situazioni di integrazione è stato quello di ipotizzare percorsi di intervento sufficientemente meditati e scientificamente finalizzati a rispondere alle esigenze di bisogni originali potenziando ed aggiornando i modi della didattica per tutti, al di là delle disabilità.
Il dover entrare nel contesto scuola, nella didattica senza stravolgere percorsi tradizionalmente agiti, il dover ritrovare spesso in tali percorsi alcune basilari cause producenti le difficoltà (gli handicap), il dover produrre cambiamenti finalizzati alla riduzione degli handicap potenziando gli apprendimenti nell’intero gruppo classe, rispettando l’originalità di ciascuno, il dimostrare con evidenza che l’ipotesi, il progetto, le prassi erano state la causa dei cambiamenti, il dover vincere le resistenze al cambiamento, il doversi raccordare con l’azione terapeutica necessaria da parte delle aree medico- riabilitative e psicologiche, … questa è stata la palestra, il complesso campo di ricerca-azione che ha definito la specificità della Pedagogia Speciale, rilevando e formando competenze e professionalità peculiari.
La rigorosa e multidisciplinare esperienza scientifica della Pedagogia Speciale oggi la propone alle altre aree nell’ambito delle scienze dell’educazione, sempre di più caratterizzata quale area forte di riferimento per la ricerca permanente finalizzata a prevenire quelle condizioni, quelle modalità della didattica che possono determinare situazioni di disagio scolastico.
La Pedagogia Speciale è divenuta indispensabile riferimento per saggiare, valutare e verificare i percorsi pedagogico-didattici onde prevenire condizioni, contesti in cui la didattica rischia di produrre difficoltà di apprendimento, producendo ‘handicap’, a causa di difficoltà nell’insegnare.
Una ‘vigilanza’ che può orientare i progetti didattici per tutti, proponendo contesti e situazioni di apprendimento e di insegnamento in stato di benessere. Una ‘vigilanza’ scientifica capace di riconoscere condizioni a rischio, provocatrici di svantaggi per operare un’azione di vera e propria prevenzione. Una prevenzione che fonda i suoi saperi, le sue conoscenze sull’esperienza scientifica e sulla ricerca-azione, nel determinare contesti, situazioni, occasioni, modalità dell’insegnare e dell’apprendere in stato di benessere provocando l’emozione di conoscere e il desiderio di esistere.
Quando la riflessione, gli studi, la ricerca scientifica hanno come oggetto la persona, il trasmettere i dati (risultati dell’indagine) significa offrire alla divulgazione, al confronto non mere statistiche, ma vissuti, paure, tristezze, felicità,… significa far conoscere percorsi esistenziali costituiti da emozioni.
Emozioni che creano un campo comune che mette insieme persone, il ricercatore e l’oggetto della sua ricerca, un campo che è un incontro di esistenze ancor prima di essere un’indagine scientifica, un campo in cui la ricerca si evidenzia come un turbine emozionante perché si scopre che, mentre si vuole conoscere l’altro, si conosce se stessi, o che, per conoscere l’altro, è necessario conoscersi.
Conoscersi e conoscere diviene il dinamismo di fondo che propone quel vortice tra razionalità e affettività, tra logica e immaginario, tra rigorosità e intuizioni che mette in crisi quel desiderio di ricerca rigorosa.
Proprio il desiderio del rigore, questo sentimento, è ciò che intacca il rigore, lo relativizza, forse lo indebolisce sul piano scientifico, ma che fa scoprire l’uomo, la sua originalità attraverso le sue perturbazioni, disabilità, handicap, patologie.
I progetti di integrazione e di inclusione ci hanno costretti, attraverso la ricerca, a riflettere più profondamente sull’uomo, sulle sue imperfezioni, emozioni ed imprevedibilità; una complessità che lo rende permanentemente sconosciuto e sfuggevole dai paradigmi che spesso le scienze organizzano per conoscerlo.
Forse per questo l’emozione di conoscere è un tema che non necessita di molte spiegazioni, ma di contesti da ricordare e da vivere, di sensazioni più o meno piacevoli a cui riferirsi, forse paure o faticosi percorsi.
Con tali presupposti nella rivista si vuole raggiungere l’obiettivo di provocare riflessioni sulle opportunità che l’incontro di diverse esperienze propone, di allargare gli orizzonti dell’immaginario per sempre nuovi scenari sui modi dell’insegnare e sulle condizioni dell’apprendere, anche quando si è in condizioni di patologia. Non si vogliono riportare né mere tecniche didattiche, né aride schede operative ed esercizi, ma narrare, descrivere i vissuti di professionisti, genitori, alunni, per riflettere su questi, alla ricerca di quelle circostanze, di quei contesti, di quelle modalità che hanno provocato il piacere e il desiderio di conoscere e di esistere. Si vogliono esplorare, raccontare, rivivere insieme quelle esperienze che hanno lasciato un ricordo piacevole, per poter riscoprire nel confronto e nella riflessione che in questi ricordi vi sono i riferimenti per orientare teorie, metodologie e prassi.
Le numerose richieste che mi hanno incoraggiato e spinto a realizzare questa rivista, hanno fatto emergere l’urgenza di fornire riferimenti a quei professionisti e genitori che richiedevano esperienze e modalità per affrontare le problematiche dell’integrazione e dell’inclusione nel rispetto della persona e delle sue originalità. Le richieste andavano alla ricerca di contesti, di modalità, di riferimenti teorici, di percorsi sperimentati, valutati e da sperimentare, che riunissero gli aspetti della felicità a quelli della maturità, gli aspetti dell’emozione con quelli del conoscere. Le richieste erano quelle di trovare un ambito, luoghi, occasioni per poter riflettere sulle connessioni tra percezioni, vissuti ed emozioni, avendo come presupposto per la riflessione che l’emozione e la cognizione sono poli di un tutto interconnesso, integrato, in equilibri originali, e che l’unità di questi opposti, separati da originali tensioni si costituisce nel nostro corpo, nel nostro essere, richiamandosi reciprocamente, interagendo, e in questa intima interazione vi è la forza di trascinare l’altro. Con tali presupposti la divisione tra emozione e cognizione può rivelare e rilevare errori epistemologici e pedagogici.
Nell’ambito delle ricerche su una epistemologia delle emozioni, ci siamo imbattuti in situazioni, vissuti, in percorsi agiti forse spesso poco considerati nella didattica, ma forti rilevatori di come percepiamo, viviamo ed interpretiamo il mondo. L’agito, il fare, il muoversi, il toccare, l’odorare, l’assaporare, l’ascoltare,… si rivelano occasioni straordinarie per riflettere sulla particolarità e la globalità, su quelle tensioni che propongono equilibri originali tra emozioni, razionalità, percezioni e sentimenti.
I percorsi che propongono l’emozione di conoscere e il desiderio di esistere sono rilevatori di esperienze profonde e propongono opportunità per farle emergere, evocarle per poterne usufruire, per riscoprirsi come esseri corporei, per scoprire come io mi muovo, come gli altri si muovono, per riscoprire che la pelle sente, le dita prendono, il piede tasta, la bocca assapora, il cervello pensa e ricorda, i polmoni respirano, il sangue pulsa… Riscoprire che questo esistere sensoriale propone e si collega a desideri, ricordi, paure, gioie,… In questa dimensione, in cui i contesti, le situazioni, le sensazioni, gli affetti costituiscono l’ambiente e le atmosfere dell’apprendere e dell’insegnare, le difficoltà di insegnamento e di apprendimento possono avere sostegno ed essere superate, se il tempo, lo spazio, gli oggetti ci propongono ricordi, vissuti in stato di benessere. Viaggiare nel tempo, incontrare spazi ed oggetti con significati diversi, in eventi e contesti diversi, tutto ciò induce ad esplorare e scoprire il mondo, noi stessi, gli altri nel senso del meraviglioso.
Questo riscoprirsi in una dimensione in cui il toccare, il pensare, il vedere, il riflettere… determinano condizioni di felicità, uno stato di benessere, significa scoprire il piacere di esistere ed allora il conoscere o cercare di conoscere qualcosa presuppone il guardare l’oggetto di cui desideriamo fare la conoscenza, attribuendogli una forza seduttiva, un segreto, un mistero. La forza seduttiva è ciò che ci attiva verso quell’oggetto, il segreto è ciò che vorremmo e potremmo forse svelare, il mistero è ciò che resterà tale per indicarci la limitatezza della relazione possibile e dunque della conoscenza. Tutto ciò che possiamo fare è sperare che questo procedere sia in una dimensione sensata e meravigliosa. Ma forse, chissà, sono solo immagini impalpabili quelle a cui noi ci riferiamo quando procediamo nella conoscenza, e chissà se per conoscere necessitiamo di ombre proprio per sfuggire alle prigioni del paradigma, per sfuggire al dogmatismo. Un percorso di esplorazione dove hanno importanza le piste-madre, le strade maestre, le teorie accettate e solide, ma la cui eventuale ricchezza è forse nelle deviazioni, negli incontri casuali, nel far nascere dubbi e non nel dare certezze.
L’emozione di conoscere va riconosciuta quale energia che può determinare il superamento delle difficoltà, della fatica che i percorsi di conoscenza spesso propongono trasformandoli in avventura piacevole.
In questa avventura che la conoscenza propone, però, non si accettano sentieri, percorsi spianati, sgombrati dalle difficoltà, dagli errori, dalla fatica… Come un esploratore, uno scalatore, chi si avventura nella conoscenza e nel sapere, desidera vivere gli sforzi, le sconfitte, le fatiche… in quanto queste fanno parte dell’emozione di conoscere, dandogli il sapore, il fascino dell’avventura.